Critica | Luis Luque Toro

LUQUE
Testo del catalogo della mostra "El Gran Teatro del Mundo" tenutasi presso la Real Academia de España en Roma, 25 febbraio - 20 marzo 2014
L’infinita sensazione d’infinito nella pittura di Lupica

Lorca, nella sua conferenza intitolata L’immagine poetica di Don Luis de Góngora, evidenzia come il poeta di Cordova si collocava dinanzi alla natura con occhi penetranti ammirando in egual modo la medesima bellezza che avevano tutte le forme. Entrava così, secondo Lorca, in quello che si può denominare mondo di ogni cosa, infondendo il suo sentimento ai sentimenti che lo circondano. Questa corrispondenza biunivoca tra i sentimenti della natura e quelli dell’uomo è quella che ci permette al contempo di mettere in contatto il nostro mondo col mondo naturale, generando una simbiosi di sentimenti che potremo percepire soltanto se partiamo prima da un attento sguardo verso noi stessi, ossia, verso il nostro interiore, per proiettarlo posteriormente verso l’esterno.
Questo sguardo interiore è quello che coabita in Lupica quando fa suoi i versi lorchiani con la sua pittura e la sua scultura, allo stesso modo che il notevole traduttore si trasforma nel nuovo scrittore dell’opera alla quale sta infondendo una nuova vita. Il viaggio interiore di Lupica attraverso la poesia lorchiana arriva a essere un’enorme prova del suo dinamismo organico, come fu definito alla perfezione da Mario Luzi, e della sua sensibilità poetica, potremmo aggiungere, poiché in ognuno dei suoi dipinti troveremo un enorme parallelismo tra il singolare potere creativo del poeta di Granada, nel quale la morte è metafora della sofferenza umana, e l’infinita creazione d’immagini del nostro pittore, nel quale l’incisione e la figurazione sono le metafore del nostro essere.
In Lamento per la morte di Ignacio Sánchez Mejías l’identificazione tra Uomo/Natura raggiunge la sua massima espressione quando arriviamo al punto di confonderci con qualsiasi forma della natura: il sudore e le lacrime arrivano a essere neve, le ferite bruciano come soli, le voci segrete suonano come l’aria, il riso è lo spigonardo di sale e d’intelligenza, la nostra agonia forma pozze… e il pianto è un fiume. Questo essere presenti nella natura nasce dalla forza del pianto, del dolore che pervade il nostro essere, quando i limiti di ciò che è umano devono trovare riparo nelle diverse forme che la natura ci offre, e la nostra vita che, nel lamento di Lorca, compare come il fiume le cui pietre si riempiono di buchi senza fondo quando smette di essere fiume.
Ci introduciamo così nel mondo cui infonde vita il nostro pittore e scultore in questa mostra che, col titolo calderoniano di Il gran teatro del mondo, intende trasferirci in quell’universo di sentimenti della natura che abita con noi, o sarebbe meglio dire dentro di noi, senza accorgerci che la natura siamo noi stessi:

Anima, senso, potenza,
vita, neanche ragione abbiamo;
tutti informi ci vediamo;
siamo polvere dei tuoi piedi.

Lupica, con la sua anima poetica, entra in questa comunione con gli elementi naturali cercando l’infinito con immagini non polarizzate, poiché, come nel poema, non dovrebbero esistere un nord, un sud, un est né un ovest, qualcosa di affascinante nella pittura, come asseriva Federico Zeri, poiché ci consentirà di vedere e non guardare, concetti ben diversi, tutto il mondo d’immagini fortemente immerse nel nostro esistere.
Lupica, quindi, ci invita con questa mostra a fare un viaggio molto particolare attraverso una continua identificazione con la natura per scoprire, come affermava Calderón, che essere e non essere sono termini continui.

(Traduzione di Rocío Luque)

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